Marco Orsi

Maria Montessori e l’esperienza Senza Zaino

18/06/2018

La dimensione della comunità e la differenziazione dell’insegnamento

Nel libro dal titolo L’Autoeducazione Maria Montessori racconta che a chi le chiedeva come poteva svilupparsi il sentimento di socialità tra i bambini se lavoravano da soli, rispondeva che la scuola tradizionale era un luogo di irreggimentazione “ove tutti i bambini fanno tutte le cose allo stesso tempo, persino l’andare al gabinetto…”.

E continuava asserendo che “la società dei bambini è fatta al rovescio di quella comune: qui la socievolezza comporta dei liberi e corretti rapporti di cortesia e di aiuto reciproco, benché ciascuno faccia i propri affari: lì invece la socievolezza comporta la comunanza di posizioni di corpo e di atti uniformi collettivi, ma con l’abolizione di ogni rapporto piacevole o cortese: l’aiuto poi, che nell’altra società è una virtù, qui è il maggior delitto, la peggiore forma di indisciplina”(Montessori, 2000, p. 274). Il modello di scuola tradizionale effettivamente rischia sempre di alimentare un modello individualista, che è reso palese dall’organizzazione dello spazio, dove troviamo normalmente banchi monoposto messi in fila di fronte ad una cattedra, dietro la quale un docente impartisce una lezione e chiede agli studenti di eseguire il medesimo compito nello stesso tempo, utilizzando medesimi metodi e i medesimi materiali. Si tratta di un’azione di tipo meccanico che considera tutti alla stessa maniera e che lascia ben pochi margini di libertà. L’apparenza è di collaborazione, perché si è accomunati da un compito uguale, in realtà il lavoro deve essere strettamente individuale nel senso che in definitiva nega qualsiasi connessione con i compagni.

Ma per Maria Montessori collaborare non significa fare le stesse cose e nemmeno necessariamente lavorare in gruppo. Nella società degli adulti la collaborazione nasce, ad esempio, in un contesto dove un team si dà degli incarichi che ciascuno svolge per conto proprio, per poi mettere tutto insieme: si definiscono così attività diverse che magari valorizzano le competenze di ciascuno, per poi arrivare ad un prodotto che non è la somma dei diversi prodotti, ma un vero e proprio esito di un impegno congiunto.

Si rintraccia qui il primo dei valori guida di Senza Zaino, quello della comunità, che è uno sforzo tutto teso a mettere assieme le diversità individuali con la dimensione collettiva.

La pedagogista italiana mette in risalto il tema della comunità anche quando focalizza l’importanza dell’aiuto reciproco soprattutto tra i più grandi e i più piccoli: “Le nostre scuole hanno dimostrato che i bambini di età diverse si aiutano l’uno con l’altro; i piccoli vedono ciò che fanno i maggiori e chiedono spiegazioni, che questi danno volentieri”. Si tratta di una prospettiva, questa, che mette in risalto come la vicinanza d’età possa a volte meglio aiutare nell’apprendimento e creare un clima per la crescita personale e di gruppo. Infatti scrive: “È un vero insegnamento, giacché la mentalità del bambino di cinque anni è così vicina a quello di tre, che il piccolo capisce facilmente da lui quello che noi non sapremmo spiegargli…[…]. Nelle altre scuole, dove i bambini hanno la stessa età, i più intelligenti potrebbero benissimo insegnare agli altri, ma di solito il maestro non lo permette; quelli si limitano così a rispondere quando gli altri non sanno, e l’invidia nasce sovente” (cit. in Mazzetti, 1963, p. 179).

Nelle scuole Senza Zaino si tende a creare un ambiente collaborativo dove ha luogo l’aiuto reciproco, per cui si cresce e si impara insieme, ma allo stesso tempo vi è la valorizzazione delle diversità, ci si pone pertanto nella prospettiva dell’insegnamento differenziato (Tomlinson, 1999), per cui vengono organizzate più attività in contemporanea, si adottano una pluralità di metodi e di strumenti didattici, il tutto per incontrare i vari interessi, le diverse intelligenze e propensioni e per rendere possibile la scelta delle attività. È questa una dimensione di comunità (Pampaloni, 2011) che va ad intrecciarsi con un secondo valore fondamentale che è quello dell’ospitalità, vale a dire il valore che ci permette di accogliere come risorsa, e non come ostacolo, le differenze.

Gli oggetti e il ruolo dell’insegnante

Nell’esperienza Senza Zaino viene attribuita grande importanza agli oggetti che possono essere ripartiti in due categorie:

1. gli oggetti del mondo
2. gli oggetti che ci permettono di conoscere il mondo

Il mondo da subito appare composto da cose, da oggetti che si vedono, si toccano, si sentono, si gustano, si odorano: i cinque sensi del nostro corpo ci mettono in contatto con la realtà. Direttamente. Oggetto sta per objectum, che significa ostacolo, barriera, difficoltà: l’incontro/scontro con l’oggetto struttura la conoscenza del mondo, ci fa entrare in esso. Maria Montessori si richiamava al principio delle lezioni di cose, cioè fatte su cose e mediante cose (Mazzetti, 1963, p.74). Le sue lezioni oggettive infatti dovevano essere vivaci descrizioni di un oggetto: la raccomandazione era quella di mai cominciare con le parole, ma appunto con l’oggetto. Fare incontrare e mettere in contatto il bambino con il mondo, era la prospettiva che voleva alimentare. Quanto, c’è da chiedersi, il tempo dell’insegnamento è saturato da attività che possiamo definire alfabetico-simboliche, vale a dire connesse esclusivamente al leggere, lo scrivere, l’ascoltare, il parlare, senza riferimenti diretti al mondo? Il vero cambiamento è far vivere le cose allo studente invece che parlarne. Si tratta di creare le occasioni per rendere possibile l’incontro dell’alunno con le cose del mondo, che lo incoraggi a riconoscere la sua durezza ed insondabilità, che lo aiuti a incontrarsi / scontrarsi con il limite, sapendo nel contempo alimentare per le cose del mondo curiosità e meraviglia. È vero, il ruolo del docente è importante, ma non tanto come soggetto frontale, quanto piuttosto come intermediario e facilitatore, come colui che attiva la relazione con le cose e aiuta il giovane a conoscere, a dare un nome al mondo. Nelle scuole steineriane agli adolescenti ad esempio viene proposta la scultura con l’intento educativo di far comprendere come il mondo sia in qualche modo una pietra, la cui durezza deve essere non distrutta, ma scalfita per trarne fuori dimensioni di bellezza e utilità. Naturalmente non si deve dimenticare che gli oggetti del mondo non sono sempre concreti: i sentimenti e le emozioni, i valori e i principi, le regole e le leggi hanno a che fare con qualcosa che non si tocca ma che pure è reale, così come lo sono le stesse discipline di studio che, pur non avendo sempre una dimensione tangibile, costituiscono tuttavia una entità di quel mondo che ci appartiene (Orsi, 2015).

Ma gli oggetti del mondo debbono essere conosciuti anche tramite altri oggetti, che appunto fanno da mediatori. Galileo Galilei poté fare le sue scoperte sul movimento degli astri celesti, perché ad un certo punto impugnò il cannocchiale e lo rivolse verso la Luna. Allo stesso tempo la maschera subacquea ci permette di scandagliare i fondali del mare, o la radio inventata da Marconi di udire voci lontane altrimenti non udibili. Sin dall’inizio la specie homo, ha intuito che la conoscenza – che è anche trasformazione e manipolazione degli oggetti – doveva avvenire tramite altri oggetti, magari fabbricati per quello scopo. E in questa fabbricazione l’uomo si è ispirato magari agli oggetti della natura: la ruota vedendo i tronchi rotolare, la barca gli alberi galleggiare, l’aereo osservando con cura il volo degli uccelli e così via. I materiali di sviluppo montessoriani vanno proprio nella direzione di strumenti – oggetti che aiutano e supportano la conoscenza. Non solo, ma nelle lezioni oggettive, che Maria Montessori proponeva, al centro doveva stare proprio l’oggetto e su di esso veniva costruita l’attività didattica. “Per le lezioni sui vegetali – diceva Maria Montessori – è necessario il campicello: si farà vedere a seminare (la maestra), si farà vedere la pianta cresciuta. Si farà vedere il raccolto, si farà vedere possibilmente l’uso domestico dei più comuni vegetali” (cit. in Mazzetti, 1967, p. 76). Nell’esperienza delle scuole Senza Zaino abbiamo l’iniziativa della Fabbrica degli Strumenti Didattici, che riprende proprio questa tradizione degli oggetti che ci fanno conoscere il mondo: così abbiamo materiali e giochi di vario genere per diverse discipline e vari tipi di apprendimento come la Cassettiera delle operazioni, la Scatola dei sensi, lo Schedario matematica, il Pannello flash cards, il Quaderno di legno, il Trasformanumeri, la Tombola delle forme, il Casellario grammaticale, il Memory dizionario. Inoltre, la progettazione per Mappe Generatrici è configurata in modo da mettere al centro un tema generatore, che deve essere un oggetto del mondo, una dimensione di realtà da cui partire per sviluppare il percorso di ricerca e di apprendimento.

Se le cose per conoscere e le cose del mondo sono al primo posto allora “Gli oggetti e non l’insegnamento della maestra sono la cosa principale: ed essendo il bambino che li usa, egli, il bambino, è un’entità attiva e non la maestra” (Montessori, 2000, p. 165). E tuttavia l’insegnante non scompare, ma svolge il ruolo importantissimo di organizzare l’ambiente e di mostrare come si fa. Avviene come nella bottega dell’artigiano per cui il gesto del maestro sollecita l’osservazione e l’imitazione invitando a cimentarsi in prima persona. Maria Montessori prende come esempio il maestro che insegna ginnastica, il quale non può essere un parlatore, ma un indicatore: con le parole non potrebbe insegnare, occorre che metta gli allievi in condizione di operare, di agire impiegando energia con il corpo e utilizzando gli attrezzi adeguati. Ecco che nelle scuole montessoriane “la maestra si limita a indicare e a dirigere, a mettere a disposizione una palestra di esercizi mentali [per cui] i bambini si rinforzano, diventano individualità, e acquistano una salute interiore che è appunto il brillante risultato della liberazione dell’anima” (ivi, p. 166).

L’ambiente, l’ordine e la responsabilità

L’Approccio Globale al Curricolo è il metodo di riferimento delle scuole Senza Zaino (Orsi, 2006). Con esso si intende che è necessario non progettare la formazione, ma un intero ambiente formativo dove gli aspetti hardware si intrecciano con quelli software, ovvero gli artefatti materiali con quelli immateriali: gli spazi architettonici, il mobilio e la sua disposizione, la comunicazione visuale, ma anche tutta la strumentazione didattica, i materiali per apprendere, la documentazione d’archivio, le componenti tecnologiche si debbono collegare alle metodologie didattiche, alle strategie, alla visione e ai modi di progettare e così via (fig. n.1). Allo stesso modo deve esserci una connessione tra back e front, tra i momenti preparatori, organizzativi e l’attività di insegnamento – apprendimento, tra ciò che avviene fuori e ciò che accade dentro l’aula. Viene ripresa la metafora teatrale proposta da E. Goffman (1967), per cui ciò che avviene dietro le quinte è strettamente connesso a quanto si verificherà sul proscenio. L’Approccio Globale al Curricolo (AA.VV., 2013) apre anche ad altre strutture di connessione come quella tra individuo e comunità, tra corpo e mente, tra emozioni e ragione, tra parte e tutto. Inoltre, si pone attenzione a valorizzare le diversità, vale a dire a considerare ciascun alunno nella sua dimensione speciale e originale, avendo cura di alternare i momenti collettivi e di gruppo con i momenti individualizzati e personali. È la prospettiva delle diversità di intelligenze, bisogni, interessi, genere, motivazione, cultura, che caratterizza un gruppo di alunni, il quale non può essere più ritenuto composto da soggetti omogenei ai quali impartire costantemente lezioni standard.

La metafora teatrale impegna, pertanto, a perseguire un modello drammaturgico che è una visione dell’organizzazione dell’ambiente formativo e un riferimento per il ruolo del docente. Ciò vuol dire per esempio invertire la considerazione che si ha nella scuola tra lo stesso back e il front. Si guardi ad esempio a come sono in genere ben organizzati e tenuti in ordine gli uffici delle segreterie degli istituti scolastici o lo studio del dirigente e lo si confronti con la disorganizzazione, quella certa desolazione e disordine che regna spesso nelle aule: là è il dietro le quinte dove normalmente nella società dei grandi è più probabile che sia presente un certo grado di disordine e disorganizzazione, mentre sul proscenio, dove ha luogo la performance, le cose di solito si mettono all’opposto: nel magazzino (back) ci può essere confusione, ma non tra gli scaffali del supermercato (front). In definitiva progettare l’ambiente formativo significa ristabilire il naturale rapporto tra il dietro e l’avanti, che vuol dire restituire importanza al lavoro d’aula. Maria Montessori ha dedicato numerose pagine a questo aspetto centrale. Ella prestava attenzione all’ordine nella triplice accezione di bellezza, di conoscenza e funzionalità: “L’intento della gran sala di lavoro (l’aula) deve essere gaio e piacevole. […]. Il lavoro che si è manifestato adatto ai piccoli bambini dai tre ai sei anni di età non è un lavoro creativo. È piuttosto un’attività che ha il fine di mantenere l’ordine nell’ambiente per mezzo di esercizi di vita pratica. I lavori dei bambini sono perciò compresi nelle tante opere attive necessarie a tenere ben pulita ed in ordine la casa. […] Più si realizzerà nell’ambiente una tale condizione, e più l’ambiente conterrà in sé un potere ordinativo delle azioni infantili. Basta un tale accenno per comprendere come l’ambiente guidi all’ordine e all’organizzazione” (Montessori, 1935, pp. 17-18). Sembra qui che Maria Montessori prefiguri quella nozione di affordance che venne elaborata da Gibson (1999) solo nella seconda metà del ’900.

D’altra parte, il ruolo stesso della maestra ha molti aspetti che lo fanno coincidere con quello dell’attore: si pensi all’uso della voce e alla teatralità con la quale si debbono presentare gli oggetti e le attività. “La maestra interviene al principio mostrando l’azione in modo dettagliato e preciso, usando solo le parole necessarie a richiamare l’attenzione, ed evitando un parlare superfluo che distrarrebbe l’interesse del bambino dallo scopo che si deve raggiungere” (Montessori, 1935, p. 24). E’ importante la preparazione della lezione oggettiva, è come si trattasse di curare una performance teatrale, per cui diviene necessario attirare l’attenzione sull’oggetto da conoscere, usare la voce con volumi e toni adeguati, studiare la giusta distanza dai bambini, calibrare bene le parole da usare in modo da essere chiari ed efficaci, accompagnare con le parole i movimenti che si chiede di eseguire, e fare tutto ciò con un senso di teatralità che implichi il suscitare curiosità ed emozioni.

Un ultimo aspetto tra i tanti riguarda il terzo valore di riferimento per le scuole Senza Zaino, quello della responsabilità. Maria Montessori è famosa per lo slogan che faceva affiggere alle pareti delle scuole “Maestra insegnaci a fare da soli”: è la concezione di un’educazione che tende a realizzare l’indipendenza e l’autonomia dei bambini sin da piccoli, attraverso la proposta di compiti sfidanti, situazioni particolarmente attraenti che inducono ad agire in una situazione di relativa incertezza e protezione. D’altra parte, l’apprendimento, in quanto crescita, è un affacciarsi verso l’ignoto, è accettare il rischio di confrontarsi con l’inedito, lo sconosciuto. Essere responsabili significa cogliere la sfida della crescita con tutte le sue incertezze. Da questo punto di vista l’adulto deve sapersi mettere da parte e riflettere costantemente sulla sua azione di appoggio, che potrebbe costituire non una facilitazione ma un ostacolo. Essere responsabile significa, dunque, aiutare il bambino a prendere progressivamente la sua vita nelle proprie mani per istradarsi nell’avventura dello sviluppo umano. Lo psicanalista Massimo Recalcati affronta tutto ciò quando sostiene che “Il processo di formazione deve staccare l’allievo non dall’amore per il suo maestro (segno di un debito simbolico inesauribile) né dai suoi enunciati (la cui trasmissione genera un effetto positivo di Scuola, cioè di appartenenza), ma dalla sua presenza. Per un allievo questo significa innanzitutto imparare a trovare, in modo singolare, un punto di enunciazione proprio” (Recalcati, 2014, p. 107).

La responsabilità viene richiamata poi anche quando, lo mettevamo in evidenza precedentemente, si attivano forme di collaborazione dove i più grandi aiutano i più piccoli, ed è, infine, esercizio della libertà di scelta. Tuttavia, merita di ricordare che “La libertà senza organizzazione di lavoro sarebbe inutile. Il bambino lasciato libero senza mezzi di lavoro andrebbe perduto, proprio così, come un neonato, lasciato libero senza nutrimento, morrebbe di fame. L’organizzazione del lavoro, perciò, è la pietra miliare di questa nuova struttura di bontà; ma anche questa organizzazione sarebbe vana senza la libertà di usarla e senza la libertà e l’espansione di tutte quelle energie che sorgono dalla soddisfazione delle più alte attività del bambino”. Nelle scuole Senza Zaino ci si pone il tema della scelta che, come si è visto, costituisce un elemento essenziale per un apprendimento efficace in quanto coinvolgente e responsabilizzante. L’alunno impara perciò a capire quali sono i materiali, gli spazi, i tempi, le attività che sono in essere e come tali aspetti possono essere liberamente scelti. Ma tutto questo implica organizzazione del lavoro, strutturazione adeguata dell’ambiente, ordine nei materiali e negli spazi, capacità di muoversi in un ambiente che offre occasioni e opportunità seguendo procedure condivise (le istruzioni per l’uso). Un ordine da mantenere che consente a ciascuno di poter svolgere il proprio compito in modo autonomo. Tutto questo consente l’acquisizione di un abito improntato alla responsabilità. Scrive Maria Montessori: “La prima forma dell’intervento educativo dovrebbe avere come oggetto di guidare il bambino per i sentieri dell’indipendenza” (Montessori, 1999, p. 60).

Bibliografia

AA.VV. (2013), Un approccio globale al curricolo. Linee-guida per le scuole, Napoli, Tecnodid
Gibson, J.J. (1999), Un approccio ecologico alla percezione visiva, Bologna, Il Mulino
Goffman, E. (1997). La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino
Mazzetti R. (1967), M. Montessori nel rapporto tra anormali e normalizzazione, Roma, Armando
Montessori M. (1935), Manuale di pedagogia scientifica, Napoli, Alberto Morano editore
Montessori M. (1970), La mente del bambino, Milano, Garzanti
Montessori M. (1999), La scoperta del bambino, Milano, Garzanti
Montessori M. (2000 ed. orig. 1916), L’autoeducazione, Milano, Garzanti
Orsi M. (2006), A scuola senza zaino, Trento, Erickson
Orsi M. (2015), L’ora di lezione non basta, Rimini, Maggioli
Pampaloni, D. (2011), Senza Zaino: a scuola di comunità. Il modello pedagogico e didattica, Rivista dell’Istruzione, 5, Rimini, Maggioli
Recalcati M. (2014), L’ora di Lezione , Torino, Einaudi
Tomlinson C. A. (1999), The Differentiated Classroom: Responding to the Needs of All Learners, Alexandria, Virginia, ASCD

Pubblicato in Momo n. 2, maggio 2015

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