Maria Montessori profeta di pace - L’educazione come pratica di liberazione e costruzione di pace
Qual è il ruolo che l’educazione alla pace occupa all’interno del pensiero di Maria Montessori?
L’educazione alla pace è motivo centrale del sistema educativo della dottoressa e quasi sua corona e fine ultimo, o è, invece, riverbero pedagogico di una delle tante prese di posizione di quella grande donna che lottava contro tutte le sopraffazioni della sua epoca?
Quale contributo pacificatore può apportare l’educazione in seno alla società in cui viviamo?
L’educazione montessori è ineludibilmente pacifista e irenetica?
I contenuti delle conferenze raccolte nel volume “Educazione e pace” ci sono sembrati adatti ad indagare l’argomento meglio di altri, in particolar modo ci sono sembrati adatti il discorso tenuto a Ginevra nel 1932 e la serie di conferenze danesi scritte in occasione del VI Congresso internazionale Montessori nell’estate del 1937.
Tuttavia altri interrogativi si presentano immediatamente al nostro cospetto, tale indagine non rischia forse di essere estremamente limitata e i suoi risultati, quindi, poveri e privi di validità alcuna? A partire da questi pochi testi è possibile ricostruire un insieme organico e coerente di contenuti pedagogici riguardo l’educazione alla pace?
[Siamo in grado di recuperare, all’interno del discorso, quegli elementi strutturali che ci permettano di comprendere quale ruolo e quali possibilità tocchino all’educazione nell’opera pacifista di rinnovazione della società?]
Con l’ausilio di alcuni testi critici del pensiero montessoriano speriamo di non riuscire irrimediabilmente vuoti e disancorati dal dibattito scientifico.
La pace non ha nome
Prima ancora di iniziare ad affrontare il contenuto dei testi suddetti ci sembra opportuno ricordare che quella della Montessori fu l’unica voce di educatrice ad ergersi contro il clima e lo spirito di violenza instaurati dal fascismo e dalle classi sociali reazionarie che imperversavano in Italia, in Europa e in Africa, si ricordi la guerra italiana d’aggressione in Etiopia, ella fu l’unica personalità a proporre una ferma e appassionata difesa della cultura democratica della pace, dell’atteggiamento solidaristico, che è il più potente motore dello sviluppo umano, dell’umanesimo, che conduce le società all’apertura di spazi condivisi. Vox clamans in deserto. Tanto più forte è l’eco che ce ne giunge.
La conferenza di Ginevra affronta subito la radicale differenza tra cessazione delle guerre e presenza della pace, non è vera per la Montessori l’equivalenza che si stabilisce solitamente tra fine dell’evento bellico e pace, anzi la pace così intesa è proprio lo scopo della guerra, l’asservimento di un popolo all’altro dopo una sconfitta cruenta, il suo annientamento morale ed economico è proprio ciò che la guerra si prefissa di conseguire. E questo primo rifiuto appare ancora oggi come un risultato non acquisito, giacché “pace”, parola piena di significati è da ricondurre etimologicamente alla terra, non soltanto in latino, non può ridursi alla prevaricazione della nazione più forte sulla più debole. La pace è misconosciuta, nessuno se ne occupa, al contrario di quanto accade per la guerra non esiste una scienza che la studi, “anzi tra gli infiniti concetti, che pure arricchiscono le nostre conoscenze, manca il concetto stesso della pace.”(Montessori, 1970: 4) Ecco il primo problema che riluce sotto i nostri occhi, la pace non ha nome, e come sempre quando si parla di essa si inizia a disquisire sui motivi che spingono alla guerra, motivi complessi e arcani.
[La guerra è, per la Montessori, fenomeno umano e quindi conoscibile più d’ogn’altra cosa, affiora qui una reminiscenza del verum factum vichiano, e se noi, tuttavia, non ne conosciamo i motivi, ciò sta a significare come la sua finale soluzione sia raggiungibile solo grazie agli sforzi di una scienza poderosa che ne indaghi i fattori complessi e indiretti che la provocano. Vedremo più avanti che forse tale scienza è già nata, ed è l’impegno scientifico educativo supportato dalla rivelazione della natura infantile che il bambino ci ha voluto mostrare].
Ed è con parole valide ancora oggi, in tempo di ideologie conclamate, prestandosi all’interpretazione ficcante del reale, che la dottoressa di Chiaravalle ci ricorda come l’ambiente dell’uomo non sia più la terra, “bensì l’organizzazione sociale in se stessa, che posa su strutture economiche,” (Montessori, 1970: 4) e che tutte le motivazioni addotte a sostegno della propaganda guerresca non sono altro che falsità, falsità che spingono però gli esseri umani a farsi la guerra, anche oggi che non possono più conquistare terre e risorse, e viene da chiedersi che cosa li sostenga in questo slancio verso la morte propria e altrui, perché se è vero che le guerre sono volute dai governi e dagli interessi economici del capitale, è pur vero che sono gli uomini, e le donne e i bambini in alcuni casi, a combatterle, e di certo spesso per motivi a noi ignoti.
[Come rimane ignoto il fatto che sia lodato “un uomo che scopre il microbo di una malattia e insieme il siero curativo che può salvare molte vite umane; ma ancor più lo sia chi scopre elementi distruttori e sa dirigere le proprie energie intellettuali ad annientare la vita di interi popoli. Le concezioni del valore della vita ed i principi morali sono così contraddittori nei due casi da far pensare alla possibilità di un misterioso sdoppiamento della personalità collettiva.”] (Montessori, 1979: 7)
Una “forza non domata” serpeggia latente nell’erba alta della psicologia umana, dove i valori che riguardano la vita confliggono l’uno con l’altro, e, a proposito di come tale discrasia aumenti la fatica del vivere, è illuminante ricordare le parole spese da Lamberto Borghi nel suo Educazione e scuola nell’Italia d’oggiriconoscendo che la Montessori “vide come tutti gli sforzi che gli uomini adoperavano per migliorare la loro esistenza fossero vani e contraddittori se non si fondavano sull’educazione alla nonviolenza, alla pace e all’amore” (Cives, 1994: 189).
Lotta al male fisico e perseguimento del male morale, racchiusi negli stessi animi, come nell’antichità la peste era combattuta a colpi di caccia all’untore così oggi la guerra è allontanata radunando le folle in piazza, ma mentre nei secoli la rivoluzione dell’igiene ha portato alla coscienza del fatto che per combattere le cause effettive bisogna rivolgersi a esse ora noi per quanto riguarda la guerra dovremmo capire che vale lo stesso principio e rivolgerci all’uomo che moralmente vive negli stessi pantani del medioevo senza aver compiuto un solo passo in avanti. Un uomo siffatto moralmente rattrappito è homo bellator[che anziché uscire all’aria aperta e respirare si vede chiuso in anfratti bui e mefitici], vive un caos morale e psichico al contempo, ma ritornare alla ragione e sanare le cause di questo conflitto è possibile, ci dice la conferenza del ’32, rivolgendosi all’infanzia e cominciando da lì l’opera di ricostruzione dell’unità morale dell’uomo.
Sono parole dure, chi potrà ascoltarle?
Come sempre quando si debba costruire qualcosa di nuovo e intentato [fino a noi] bisogna partire dalle fondamenta, e il fondamento del male morale che porta l’uomo al caos psichico e alla crisi valoriale è la lotta fra l’adulto ed il bambino. Lotta che fiacca lo slancio vitale del bambino, facendo sì che egli dia vita ad un uomo debole e malato.
[Prima di andare oltre e affrontare il discorso impegnativo della guerra tra le generazioni, che la Montessori rileva essere il sottofondo culturale dell’umanità, è bene accennare velocemente alla “scoperta del bambino” da lei operata.]
Il bambino era, ed è, generalmente considerato un essere incompleto, volubile, incapace di raccoglimento, di integrità morale, di sforzi intensi diretti al raggiungimento di uno scopo elevato, egli è creduto meno di quello che è, è visto come impedimento per l’adulto, e per questo l’adulto lo angaria e lo opprime.
[La Montessori, con atteggiamento scevro dai preconcetti imperanti e libera da impostazioni accademiche o settarie, ha osservato il bambino per decenni negli ambienti più disparati, ai quattro angoli del mondo, e, solo cogliendo i frutti dell’osservazione amorevole del bambino, ha potuto conoscere i segreti dell’animo infantile, la struttura della sua personalità e la grandezza della natura che provvidamente lo benefica di tutti i doni che gli spettano. Inoltre ella sviluppò la consapevolezza che il bambino ricco di possibilità non tradisce le aspettative della natura e si sa condurre sulla strada dello sviluppo e della crescita autonomamente, purché l’ambiente gli sia amico e sollecito servitore.]
La Montessori volle quindi creare un ambiente educativo che facesse realizzare al bambino le proprie capacità innate, in libertà e senza che l’adulto fosse un ostacolo insormontabile per il suo organismo in accrescimento, ella creò scuole che rispettavano il bambino, lasciando al maestro interiore il compito di auto educare il bambino, senza avere bisogno di riporre nel bambino fiducia o fede ottimistica e irrazionale, ma semplicemente riconoscendolo per quello che è, [il bambino si rivela ottimo nel metodo perché egli è ottimo naturalmente, non c’è traccia di obliquo ottimismo].
[Alla luce di queste poche ed entusiastiche parole è comprensibile la differenza sostanziale che innerva il sistema delle scuole Montessori, possiamo affermare infatti che “Montessori education has a fundamentally different structure from traditional education” (Lillard, 2006), e questo anche perché l’educazione tradizionale è paternalista, nazionalista, oppressiva, coercitiva, non rispettando i ritmi vitali del bambino che sono del tutto diversi da quelli dell’adulto.]
[E, tornando a noi, una scuola tradizionale basata su siffatti principi e idee non può che generare un uomo diviso, un uomo moralmente debole, che da un lato “riunisce le proprie energie per costruire e dall’altro per distruggere ciò che ha costruito.]
[Fin qui la grande dicotomia, che lacera l’uomo moderno, ma da che cosa deriva tale intima divisione?] La Montessori crede che la lotta tra l’adulto e il bambino sia quella fonte di disequilibrio morale che inquina lo sviluppo del bambino, impegnato nella costruzione dell’uomo che sarà.
Nei secoli rimane inveterato “l’antico e superficiale concetto sullo sviluppo uniforme e progressivo dell’individualità umana; e l’errore che l’adulto sia chiamato a plasmare il bambino, per dargli la forma psichica voluta dalla società. Per colpa di questo antichissimo e grossolano equivoco nasce il contrasto e la prima guerra fra uomini destinati ad amarsi: tra padri e figli, tra maestri e allievi.” (Montessori, 1970: 16).
Ecco la guerra più antica e sordida, la più reale e inconfessata, i padri e i figli si fanno la guerra, sono parole dure, chi potrà ascoltarle?
“Entrambi inconsci dei loro propri caratteri, si combattono vicendevolmente in una lotta oscura che si ripete da millenni, ma che oggi si aggrava acutamente, nella nostra civiltà complicata e snervante. L’adulto vince il bambino: e, nel bambino divenuto uomo, restano perpetuamente i caratteri di quella famosa pace dopo la guerra, che da un lato è distruzione e dall’altro è doloroso adattamento.”
Gran parte di questo conflitto è dovuto al fatto che l’adulto e i bambino hanno due diverse forme e finalità della personalità umana, il bambino è impegnato nell’incarnazione dell’individualità che avviene a spese di esperienze e contatti presi col mondo esteriore, seguendo le leggi naturali inscritte in lui e con ritmi lenti di attività, mentre l’adulto è il grande trasformatore dell’ambiente, l’essere sociale e il costruttore della supernatura. [Codesta distinzione si riflette anche nelle due feste cristiane dell’anno liturgico, il natale festa dell’incarnazione e la pasqua festa della missione sociale.]
Ma ecco che l’adulto crede di scorgere in quei caratteri vitali tanto diversi dai suoi qualcosa da correggere, e già si affretta a farlo, e così sorge quella lotta tanto deprecabile che si svolge tra un forte e un debole, fatalmente vinta a danno dell’umanità tutta dall’adulto, poiché il bambino è ostacolato nel suo sviluppo naturale irrimediabilmente, in quel solo sviluppo che lo possa portare alla salute dell’anima, alla forza del carattere, alla chiarezza dell’intelligenza. Ma qual è il campo di battaglia dove ci si scontra? “La lotta tra l’adulto e il bambino è realizzata nella famiglia e nella scuola, in quella forma che si chiama ancora con vecchia parola: l’«educazione».” (Montessori, 1970: 18).
Il bambino non è povero, egli è un essere indipendente che partecipa del senso energico e costruttivo della vita, egli viene al mondo pronto a rigenerare gli stanchi legami che lo precedevano, egli è quel salvatore che può dare nuova lena all’umanità, e nonostante ciò, o forse proprio per questo, è al centro di una guerra senza tregua che lo avvilisce nel profondo, una guerra terribile che l’adulto guerreggia contro di lui, e fin nei luoghi più sacri, la casa e la scuola.
L’adulto, anziché dominarsi e umiliarsi fino ad abbracciare la concezione del bambino salvatore della razza e maestro d’amore che la natura ci palesa, e anziché recarsi da lui “come i Re Magi, carichi di potenza e di doni, camminando dietro la stella della speranza”, svolge la parte di quell’Erode che stermina gli innocenti per paura che anche uno solo prenda il suo posto, ignorando che i loro regni sono diversi.
L’arma della pace
Ma se la grande lacerazione morale dell’uomo deriva dalla sconfitta patita contro gli adulti, come si può sanare questo vulnus? Come faremo per ricucire lo strappo che genererà personalità incoerenti che perseguono scopi opposti e contraddittori, tuffandosi a capofitto tanto in opere di guerra che in opere di pace? Abbisogniamo un uomo nuovo, come generarlo?
Osserviamo il bambino che compie la costruzione naturale del carattere, [per usare le parole de “La mente del bambino”], realizzandosi autonomamente e avviandosi su una strada che gli permetta di costruire la sua condotta e la sua vita, e alla fine di tale strada “egli diventerà normale perché la sua psiche sarà normale” (Montessori, 1970: 199), ebbene l’osservazione del bambino normale che cresce moralmente sano qualora non sia ostacolato è la nitida realtà che risponde a questa domanda.
Una immensa rivoluzione è necessaria per generare quest’uomo nuovo, una rivoluzione educativa!
Il bambino deve essere lasciato libero di crescere e sperimentare le proprie energie creative, di tentare le vie morali che “il suo impulso vitale latente avrebbe cercato con ansietà in un mondo nuovo per lui, ma che non poté mai esperimentare” (Montessori, 1970: 21) fino ad ora.
Dove il bambino crescesse libero di seguitare il corso della natura, egli creerebbe un uomo nuovo, e moralmente e psichicamente sano, integro, un uomo normale, e cioè un grande esploratore dell’universo dedito al lavoro.
[La normalità umana è raggiungibile solo attraverso uno sviluppo di crescita normale, e soltanto una educazione nuova che permetta al bambino di ottemperare ai suoi impulsi vitali normali ci conduce a questo agognato sviluppo.]
L’enorme importanza che assume dunque l’educazione in questa prospettiva risuona nell’espressione: “L’educazione è l’arma della pace”.
[Arma che usualmente giace spuntata nel fodero o al più è rappresentabile con la metafora della freccia scagliata dall’arco contro gli arsenali di bombe che invadono il panorama, sta a noi temperare la lama e scagliare la freccia più lontano che mai.]
Bibliografia
Cives G., Cives, La pedagogia scomoda, Firenze, Nuova Italia, 1994
Lillard A., N. Else-Quest, Evaluating Montessori Education, Science vol. 313 29 September 2006.
Montessori M., Educazione e Pace, Milano, Garzanti, 1970.